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ASTRAZIONI URBANE

 

Testo critico di Pamela Cento

Quadri dal grande formato che si presentano come vedute aeree, che ci fanno fluttuare sopra città immaginarie, ricordando e superando una tradizione pittorica nata alla fine dell’Ottocento, quando G. Caillebotte presentò alla sua Francia il dipinto “Boulevard visto dall’alto”, metafora del volo e della libertà. Dagli esordi delle vedute dall’alto molta strada è stata fatta anche grazie all’apporto delle nuove tecnologie, che hanno permesso prima di vedere dall’ultimo piano di un palazzo, e poi di vedere dall’aereo l’infinitamente grande che così diviene infinitamente piccolo.

Ernesto Galizia guarda fuori dall’oblò di un aereo il mondo concreto e tangibile e lo imprime nella sua mente e nel suo inconscio per poi tradurlo sulla tela in un continuo rapporto tra visione soggettiva e oggettiva del mondo.

E’ una traduzione fatta di forme geometriche elementari, colori puri e simboli, che racchiude tutta la caducità e la frammentarietà del dopo Postmoderno e dell’individuo che lo abita.

Tutto è suddiviso in spicchi, frammenti e blocchi che prima ancora di indicare la volontà dell’artista di mettere ordine al caos del mondo, indicano i processi di costruzione urbanistica che sempre più, malgrado l’apparente globalizzazione sociale, tendono alla costruzione di compartimenti stagni in cui vivere isolati, quartiere per quartiere, dove appare impossibile una reale “contaminazione” tra generi di individui e stili di vita.Così se in “ Road Map “, i blocchi di differente colore scansionano e delimitano le differenti varietà all’interno di uno stesso appezzamento di terra visto dall’alto, in “ Darkness in L.A.” i perimetri ben chiusi dei cerchi, quadrati e rettangoli, mostrano l’evidenza di una città, che è poi Los Angeles, la cui struttura poggia su muri invisibili che non permettono alcun contatto.

L’astrattismo di Ernesto Galizia segue delle linee guida dettate dalla razionalizzazione, ma trattiene in se anche linee guida dettate dall’inconscio che permettono di liberare la schematizzazione geometrica che così scivola altrove.E’ infatti direttamente dalla dimensione onirica che nascono le frantumazioni spaziali e i simboli, mai rimossi, che l’artista rende ben riconoscibili sulla tela. Formiche, Twin Towers, scarpe col tacco a spillo, tutti simboli che trattengono l’impatto emotivo del sognatore, riversati sulla tela sempre con distacco: perfetti nel loro ricordo durante la veglia.Segni nati da sogni che non scivolano nell’oblio, ma rimangono nel tempo, fissati nella memoria e nella tela affinché si possa andare avanti.

“Ground Zero” mostra le Twin Towers avvolte dal fumo e dal fuoco, elementi di un incubo vero e simboli di precarietà, ci appaiono perfettamente riconoscibili, così come lo sono le due grandi formiche, simbolo dell’operatività e della ricostruzione, malgrado tutto Il mondo di Ernesto Galizia, che poi è anche il nostro, ci appare così in quiete visto dall’alto, è un mondo che si dà istantaneamente tutto insieme e non fa paura, come invece lo può fare il nostro sguardo radicato al suolo.Partendo dalla sensazione visiva ricevuta dall’esterno visto con una nuova prospettiva, emergono strutture spazio-temporali, schemi mentali attraverso i quali l’artista dà senso a ciò che vede, facendone risultare una composizione urbana astratta. E’ un astrattismo come processo di chiarificazione del reale, un procedimento seriale, mai mera ripetizione, che in work in progress scava e rileva le profonde radici delle città, avendo sempre come unico obiettivo quello di trovare, magari solo dentro la mente, la città ideale dove veramente sia possibile non solo sopravvivere, ma vivere bene.In questo processo che non parte mai da planimetrie urbane reali, le città che sono state viste, come New York o Los Angeles, vengono rielaborate e superate. In “ New Town”, la città appare come una gigantesca piovra che abbraccia tutto e che a sua volta si fa abbracciare dall’acqua, l’elemento fondamentale per una città, primario per la vita.E se il blu, cobalto o di manganese, non è acqua, allora è cielo.Nella città ideale, fonte principale di energia è la luce naturale, eppure le città di Ernesto Galizia risultano come schiacciate dalla forza di gravità, create sulla tela da elementi piatti e grafici, senza prospettive né ombre.E’ un mondo bidimensionale che non cerca di sembrare tridimensionale con mirabolanti effetti ottici. Eppure, eppure nella nostra visione tridimensionale è una città che appare luminosa e così vera…. Ecco il parco ecco il lungomare, il centro il porto…. In realtà nei quadri di Ernesto Galizia tutto, ma prorio tutto è imbevuto della luce di un Sole allo zenit: niente ombre dunque. Ma nei suoi quadri il Sole non è mai accennato con un segno e della luce non c’è mai neanche un riverbero che faccia capire da dove nasca.Se la luce del Sole è quella risultante dalla sovrapposizione di tutte le lunghezze d’onda visibili all’occhio umano, e se queste lunghezze d’onda coincidono con i colori primari, allora nei quadri di Ernesto Galizia, creati solo da colori primari, puri, il Sole e la sua luce sono dovunque. L’Artista, forse inconsapevolmente, ci offre anche un chiaro indizio di tutta questa chiave di lettura, lascia infatti spesse volte un’impronta, come fosse la firma di molti suoi quadri: un arcobaleno scomposto in tutti i suoi colori che poi, sono proprio i colori primari dello spettro solare.“ all’interno del marasma delle città, c’è la speranza di una città che si ricompatti alla luce” e l’arcobaleno, con i suoi colori fatti di luce solare, si presenta sulla tela come la tavolozza del pittore e come la “mappatura” del DNA della città ideale.

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